Dal 15 settembre 2014, dopo 128 anni di vita, la bella linea della Valsesia si è aggiunta al lungo elenco di tratte ferroviarie sulle quali è stato sospeso il servizio passeggeri, per volontà principale dell’Amministrazione Regionale Piemontese. Ma adesso non tutto sembra essere perduto.
Sono trascorsi più di due mesi dalla cancellazione del servizio ferroviario su questa linea secondaria e dopo le polemiche e le proteste del primo momento, per gli utenti locali sono rimasti soltanto i disagi per la perdita dell’ennesimo servizio pubblico essenziale su di un territorio già disagiato dalla mancanza di collegamenti adeguati e dal decentramento dai centri più nevralgici della Regione. Imporre 50 minuti di viaggio in più da Varallo verso il capoluogo del Piemonte Orientale, su corriere che percorrono strade antiquate, pericolose e frequentemente congestionate, era veramente l’unica soluzione percorribile per risparmiare e migliorare l’efficienza del trasporto pubblico locale? Come per le altre tratte chiuse in Piemonte, per l’utenza che quotidianamente deve spostarsi principalmente per lavoro o studio, non rimane che la duttile rassegnazione nei confronti di una situazione che rappresenta – secondo la Regione – ormai l’unica cura plausibile per i suoi mali economici incurabili e cronici.
Il Piemonte una terra virtuosa in fatto di ferrovie lo era stata, dietro solamente alla Campania, a cui si deve la paternità borbonica della prima linea italiana. Grazie alla volontà rinnovatrice del Regno Sabaudo e del suo amministratore Cavour, il Piemonte si distinse per l’ambiziosa idea di creare sin da subito una rete diffusa e capillare di collegamenti verso le Alpi ed il mare. Un primato ormai superato per non dire calpestato poiché oggi, a più di 150 anni di distanza, la stessa regione è tornata a distinguersi ma in negativo per la falcidie di linee sottratte al servizio ferroviario passeggeri. Una desertificazione iniziata nel giugno 2012 con la cancellazione di 12 tratte per un totale di circa 460 km, a cui fece eco ad un anno esatto di distanza e nella quasi completa indifferenza ancora la chiusura tra Casale e Vercelli. Da questo pesante provvedimento la ferrovia per la Valsesia allora l’ebbe scampata ma proprio per il rotto della cuffia. Era già accaduto l’anno precedente, a tutto discapito dell’innocente Santhià – Arona, una linea dai caratteri tutto sommato soddisfacenti e ancora considerata un itinerario alternativo dal Piemonte Occidentale verso l’asse del Sempione ma che inspiegabilmente venne inserita in extremis fra le “bad lines” forse per soddisfare quei sottili equilibri che avevano permesso all’epoca al governo regionale piemontese targato Cota di tirare a campare.
Un oblio scontato
L’amministrazione regionale perseguì dal settembre del 2013 per la Novara-Varallo la strategia della sperimentazione, impostando un nuovo orario d’esercizio all’insegna dell’economicità e dell’essenziale: solo una coppia di automotrici in servizio a spola con 4 coppie di corse ed un ulteriore dimezzamento nei giorni festivi. Una sorta di ultimo appello. L’offerta così striminzita, senza un minimo di cadenzamento e priva di coincidenze logiche a Novara, non era sicuramente attraente per l’utenza. I dati sono stati eloquenti con un crollo dell’80% dell’affluenza giornaliera, passando da circa 960 a 200 passeggeri (dati forniti dalla Regione). Ma una sperimentazione di questo tipo andava a beneficio di chi? Non certo dei passeggeri poiché, avendo circa dimezzato le percorrenze, la Regione ha risparmiato grosso modo il 50% della spesa del servizio mentre Trenitalia il 75% del costo d’esercizio (1 treno invece di 4 e analogamente per il personale).
Di fronte a questa triste realtà, confortata da un livello di frequentazione ben inferiore a quello minimo per giustificare il servizio, l’epilogo era scontato anche se più che di una sperimentazione sarebbe stato più giusto parlare di agonia indotta. E’ facile quindi fare delle deduzioni o delle similitudini stategiche, soprattutto se si vuole paragonare questa situazione con quella del 2012, in cui disservizi e soppressioni selvagge a macchia di leopardo sulle linee votate alla sospensione la fecero da padrone e a tutto svantaggio della clientela, sempre più bistrattata e dissuasa. Solo casualità?
Una vita comunque difficile quella della Novara – Varallo Sesia, linea che, all’inizio della sua vita potè contare su di una florida attività commerciale, legata soprattutto ai bacini manifatturieri e all’attività estrattiva presente nella parte alta della valle. Ma ben presto, con lo spegnersi del servizio merci (limitato oggi ai soli traffici diretti alla Kimberly-Clark di Romagnano Sesia), quello passeggeri locale non riuscì da solo a sottrarre questa ferrovia dal pregiudizio dei “rami secchi”, nonostante la presenza di centri di una certa importanza come la succitata Romagnano, Grignasco, Borgosesia e il capolinea di Varallo Sesia, quest’ultima meta turistica e di pellegrinaggi verso il Sacro Monte.
Cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia… secondo un famoso teorema matematico, che ben si addice alla situazione attuale del Piemonte dove l’avvento a fine giugno del Governo di Centro-Sinistra guidato da Sergio Chiamparino, secondo i propositi elettorali, avrebbe dovuto riprendere in mano la politica dei trasporti locali, per buona speranza del trasporto su rotaia. Ma la realtà dell’immediato si è rivelata ben diversa – o meglio – uguale a prima soprattutto perchè, nonostante il cambio del vertice, lo staff di supporto dell’Assessorato ai Trasporti è rimasto intatto, inaugurando una sorta di trasversalità politica all’insegna del radical concept. E per mitigare la situazione poco o nulla hanno valso a settembre gli sforzi di dialogo del neo-assessore Francesco Balocco, di cortesia ed educazione ben superiori alla sua precedente collega, nel giustificare queste scelte obbligate dalla precedente gestione.
La posizione di questo assessorato e dell’intera amministrazione non sono certo facili, di fronte all’immensa sovrana difficoltà di far quadrare i bilanci di un’amministrazione in cronica difficoltà economica e a cui tutte le cure finora impostate per migliorare i conti pubblici non hanno certo portato i risultati sperati. Sarebbe utile o quanto meno costruttivo o trasparente che questa amministrazione pubblicasse i dati d’affluenza dell’utenza e di risparmio economico ottenuti su tutte le linee investite dal provvedimento di chiusura a partire dal 2012, quanto meno per dimostrare l’efficacia o meno di quel processo di “rimodulazione” del servizio sui “rami secchi”, che sono rimasti il segno più tangibile dell’amministrazione Cota.
Rami secchi o occasioni mancate?
Di rami secchi in Piemonte si parlava già nel 1985, quando l’allora Ministro dei Trasporti Signorile presentò una “lista nera” di una moltitudine di linee ferroviarie da chiudere su tutta la Rete Nazionale. Tratte secondarie giudicate improduttive, caratterizzate da scarso traffico e spesso anche da una notevole obsolescenza dell’infrastruttura e degli impianti. Di questo lungo programma soltanto una piccola parte ebbe concretizzazione. Ma tant’è che, passati trent’anni, dopo il passaggio nel 2001 della gestione del trasporto pubblico locale alle amministrazioni regionali, si riprese presto e fedelmente questa linea fino ad epilogare nel 2012. Segno tangibile che, a cotanta distanza di tanti anni e nonostante gli investimenti compiuti dallo Stato a cavallo degli anni ’90 per la modernizzazione e la razionalizzazione dell’esercizio di queste tratte, le cose non sono migliorate. In epoca di “vacche magre” la scelta più facile e dal risultato economico scontato è stata sempre quella del taglio orizzontale, senza considerare ne’ le ripercussioni e i disagi sull’utenza ne’ provare a intavolare un dialogo con gli Enti Locali ed il territorio interessati dal provvedimento.
La questione non è soltanto di natura economica ma culturale, se si continua a pensare al servizio ferroviario locale soltanto come ad un costo o – peggio ancora – ad una risorsa obsoleta e non competitiva e non come ad un investimento sociale anche se oneroso. Ciò non significa continuare ad ignorare i problemi e insistere a mantenere l’offerta dove non c’è proprio più la richiesta ma in prima battuta compiere un’analisi veramente obiettiva sulle potenzialità del servizio, valutando per quelle tratte più indispensabili al territorio l’utenza interessabile, la valenza sociale e anche il potenziale turistico (aspetto quest’ultimo finora troppo sottovalutato), apportando quindi le opportune modifiche all’orario, mirate alla creazione di un sistema possibilmente cadenzato (perché più facile da fruire da parte della clientela) e integrato. Occorre un radicale cambiamento di vedute partendo sin dallo Stato che finora, limitandosi a delocalizzare alle Regioni la politica del trasporto locale, non ha mai posto basi serie e creato linee guida per la realizzazione di piani per l’integrazione dei sistemi di trasporto e un utilizzo mirato delle risorse verso l’abbandono della concorrenza fra i vettori. Segni tangibili di una superficialità di vedute e della mancanza di competenze e volontà per costruire una seria politica del trasporto locale, che avrebbe permesso di attuare già sin dall’avvento delle deleghe alle regioni, una gestione economica più virtuosa e sostenibile anche a livello ambientale, come ampiamente richiesto dalle politiche UE.Occorreva partire da un’analisi seria sui motivi e le cause che hanno portato al mancato rilancio di queste ferrovie locali già dalla prima metà degli anni ’90, per scongiurare la situazione attuale e soprattutto quell’enorme patrimonio di risorse e di spesa che ora sono lasciati a morire (pensiamo solo alle infrastrutture recentemente attrezzate con il dispositivo SCMT). Perché non vi è stato un minimo impegno per migliorare l’offerta e la qualità dei servizi, eliminare gli sprechi e le situazioni più paradossali: i doppioni e la concorrenza di offerta fra treno e autobus, il mantenimento di corse ferroviarie in orari di “morbida”, la diffusa mancanza di centri d’interscambio fra i diversi vettori del trasporto pubblico locale. Occorre ora rilanciare con un radicale cambio di visione delle potenzialità dell’intero sistema del TPL, che non dovrebbe limitarsi soltanto all’analisi dei caratteri potenziali di ogni singolo vettore ma bensì alla visione globale di tutti i sistemi di trasporto nell’intento di creare una rete più integrata dei servizi. E gli esempi positivi di questo tipo negli ultimi vent’anni in Italia non sono mancati: come non pensare alla ferrovia della Val Venosta in Alto Adige o la Foggia – Lucera, ricostruita ex-novo in Puglia?
Segnali per un nuovo rilancio
Nell’estate corrente la Regione Piemonte ha annunciato di voler bandire una gara suddivisa in tre lotti (da 6/7 mln di treni * km) per l’affidamento del servizio ferroviario regionale: lotto 1 SFM Torino “bacino metropolitano”, lotto 2 SFR “bacino centro – sud” compresa la direttrice Torino – Milano e lotto 3 SFR Piemonte “bacino centro – sud” comprendenti anche le direttrici principali da Torino verso Genova, Cuneo e Savona Torino. SCR– Società di Committenza Regione Piemonte S.p.A. per i lotti 2 e 3 e l’Agenzia per la Mobilità Metropolitana e Regionale per il lotto 1 saranno le stazioni appaltanti delle procedure volte all’individuazione dei gestori. Nel comunicato stampa pubblicato sul sito della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome si cita che nei lotti sono state inserite alcune linee sospese (Novara – Varallo, Arona – Santhià, Savigliano – Saluzzo – Cuneo, Alessandria – Ovada, Vercelli – Casale Monferrato, Pinerolo – Torre Pellice, a cui nei giorni successivi, dopo le richieste di vari Enti Locali si è aggiunta la linea Alba – Castagnole_Lanze – Asti su cui naturalmente dovrà essere superato il problema idrogeologico in atto nella galleria Ghersi/Raineri fra Neive e Barbaresco. Le offerte afferenti a questi ulteriori collegamenti saranno considerate in sede di valutazione delle offerte quali migliorie, con l’indicazione, per ciascuno dei tre lotti, delle linee chiuse che si intende riesercire. Per la Regione Piemonte si tratta di riprendere il programma di liberalizzazione già imbastito dal Governo Bresso e poi ripudiato dalla successiva amministrazione, che preferì ridiscutere i termini del servizio con il gestore attuale (Trenitalia), a beneficio soprattutto di una migliore qualità e di maggior pulizia (che a conti fatti poi…). A inizio novembre il Consiglio Regionale ha deliberato il progetto, primo passo a cui seguirà una lettera all’UE per l’avvio delle 3 gare internazionali, che permetterà di risparmiare venti milioni di € sulla spesa attuale di 190 che la Regione mette a disposizione per coprire un anno di servizio. Il Presidente Chiamparino e l’assessore Balocco sono fiduciosi della presenza di diversi competitor oltre a Trenitalia, soprattutto dall’estero. Gli stessi che sarebbero già stati stimolati con le intenzioni di due legislature fa. A fronte delle intenzioni più o meno velate che altri operatori hanno manifestato in questi ultimi di ampliare il loro margine operativo anche all’Italia e anche con società controllate (ad esempio Arriva per il Gruppo DB) sarà veramente un impegno estremo per qualsiasi altro operatore riuscire a garantire la copertura operativa dei servizi richiesta, oltretutto con un investimento economico massiccio e con il budget di gara. Senza nulla togliere alla bontà degli intenti, ciò che lascia più perplessi, essenzialmente per le linee sospese, sono le tempistiche attuative del progetto, peraltro conformi con un progetto di tale portata: l’assegnazione del servizio avverrà all’inizio del 2017 e i nuovi gestori dovranno garantire il servizio dalla fine del 2018 (con l’apporto di un 65% di nuovo materiale rotabile) o la primavera dell’anno successivo. Nel transitorio il servizio su tutta la rete regionale sarà assicurato da Trenitalia ma nel frattempo, che cosa resterà dell’infrastruttura delle tratte sospese quando già oggi fra problemi fisiologici (vegetazione e abbandono), idrogeologici e vandalico/illegali (furti di cavi di rame e componentistica metallica) sarebbe già difficile prevederne la riapertura senza complicanze tecniche? Questo perché delle tratte sospese solo una parte è ancora attiva per il servizio merci e quindi sarebbe auspicabile che, a fronte di queste previsioni di riavvio, con il Gestore dell’Infrastruttura (RFI) si pianificasse un minimo di manutenzione ordinaria di salvaguardia delle tratte effettivamente chiuse: Casale – Vercelli, Santhià – Arona, Pinerolo – Torre Pellice e la tratta da Romagnano a Varallo. Per alcune di queste tratte questo impegno comporterebbe anche di rimontare parte del segnalamento e dei Passaggi a Livello già rapidamente asportati proprio da RFI per integrare le scorte di magazzino. Questioni semplici da abbozzare ma in realtà difficili da attuare poichè a conti fatti oggi non esiste alcuna disposizione normativa o di legge che impegni RFI a mantenere efficiente una linea sospesa da qualsiasi attività commerciale e il suo impegno attuale si limita al monitoraggio delle infrastrutture per scongiurare l’innesco di problematiche di coesistenza sul territorio ed eventuali pericoli derivanti dal loro degrado. Occorrerebbe un ulteriore impegno economico da parte della Regione ma dove si possono trovare questi fondi se già le risorse stanziate dal nuovo Fondo Nazionale del TPL (nato con la Legge di stabilità 228/2012) non sembrano sufficienti a coprire in Piemonte il fabbisogno attuale già rimodulato? Qualche risorsa potrebbe trovarsi con la riorganizzazione dei servizi programmata sempre dalla Regione e già avviata per la Provincia di Torino per cancellare le sovrapposizioni dei servizi fra rotaia e gomma a favore del servizio ferroviario esistente. Uno dei servizi più prestigiosi che potrebbe venire soppiantato è quello Autostradale Torino – Milano, ormai anacronistico di fronte di 55 coppie di treni al giorno fra i due capoluoghi di regione.
La gara internazionale fin qui annunciata è la riproposizione di un progetto passato, rimodulato secondo le esigenze attuali e con i fondi disponibili, con la speranza concreta della presenza di nuovi concorrenti in antagonismo all’attuale gestore in monopolio ma non si tratta assolutamente di un progetto per creare integrazione fra i vari servizi sul territorio prima auspicato; una qualità che, eventualmente, potrebbe venir lasciata alla sola discrezione della società o del consorzio aggiudicatario.
A margine di questi ambiziosi progetti, è emersa in queste ultime settimane sempre da parte della Regione l’intenzione di definire due linee prettamente dedicate al servizio turistico, a seguito del fermento di questi ultimi anni: la ferrovia Ceva – Ormea e la Novara- Varallo. E’ oramai di dominio pubblico la proposta formulata dal Museo Ferroviario Piemontese con un progetto pilota di riconversione della linea dell’Alta Val Tanaro sul modello attuato sin dal 1955 su alcune linee dismesse e riutilizzate prima in Inghilterra e poi in altre nazioni europee. Un progetto ambizioso, frutto di oltre due anni di lavoro e di coinvolgimento di amministratori locali e del territorio e che ora trova un importante sostegno nell’amministrazione regionale. Un altro importante contributo allo sviluppo di tutte queste iniziative arriverà dalla recente istituzione da parte del Governo (a fronte della Legge 29 Luglio 2014, n.106 – Misure per la tutela e lo sviluppo del patrimonio culturale e rilancio del turismo) di un nuovo tavolo tecnico con Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria – ANSF, Ministero dei Trasporti, Fondazione FS e Federazione Italiana Ferrovie Turistiche e Museali – FIFTM per la redazione di un disegno di legge sulla normativa riguardante la sicurezza per i treni storici e la semplificazione della regolamentazione per la sicurezza dell’esercizio delle ferrovie turistiche in Italia. Progressi importanti e inediti per un settore in crescita nel nostro Paese e in cui il Piemonte sembra non volersi finalmente sottrarsi proponendo anche la ferrovia della Valsesia, con l’intento di partire con la sperimentazione nel 2015 di un primo programma di servizi turistici probabilmente con la regia operativa della Fondazione FS. A cura di Michele Cerutti
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